Lo sviluppo della cooperazione nelle incertezze economiche degli anni settanta
A partire dai primi anni settanta si avvertì una necessità di riformare la Legge Basevi, e così nel 1971, con la Legge 127, furono stabiliti alcuni provvedimenti per un più moderno funzionamento delle cooperazioni e furono introdotte importanti agevolazioni fiscali. Sempre nello stesso anno si costituì l’Unione Nazionale Cooperative Italiane (U.N.C.I.), grazie all’impegno di un gruppo di ispirazione cattolica. Ma se i segnali di una ripresa del movimento cooperativo si erano sentiti a partire dai primi anni settanta, con le elezioni del 1975, in cui si registrò una prima svolta politica a sinistra, il ruolo del movimento cooperativo venne fortemente riproposto nella sua veste originale di protagonista imprenditoriale quale “terza via” nello sviluppo economico del paese, o più semplicemente come alternativa sia al capitalismo privato che al sistema delle pubbliche imprese. L’interesse che il movimento cooperativo suscitò con la politica di rilancio in una congiuntura economica avversa favorì quello straordinario sviluppo del movimento stesso tra gli anni 1977 e 1979.
Dalle trasformazioni degli anni ottanta ai nostri giorni
Nuove sfide si prospettarono a partire dagli anni ottanta, nel momento in cui il sistema produttivo, modificato profondamente da importanti trasformazioni, pose al movimento cooperativo il problema di come agire sul mercato senza tuttavia smarrire i propri valori della solidarietà e della mutualità. Dalla crisi, che aveva scosso fino ai massimi livelli il mondo cooperativo con le dimissioni del presidente della Confederazione, il movimento uscì lentamente a partire dal 1984. In quell’anno il terzo Congresso Nazionale, tenutosi a Roma, rilanciava la sfida ai grandi problemi produttivi del nostro paese: l’occupazione nel Sud, l’agricoltura e la piccola imprenditoria. Per affrontare simili sfide si avvertì impellente la necessità di ingenti capitali, e la cooperazione da un lato optò per l’accesso al mercato dei capitali (pur rimanendo un’impresa di persone con scopi mutualistici), dall’altro scelse l’aumento dell’autofinanziamento. Fu il momento in cui nacque la Banec, una banca nazionale con sede a Bologna, si potenziò Fincooper e Unipol entrò in Borsa.
Sempre negli stessi anni la legge n. 49 del 27 febbraio 1985, detta Legge Marcora, prevedeva l’istituzione di un fondo speciale a favore delle cooperative costituite tra lavoratori in cassa integrazione guadagni utilizzabile sia per l’acquisto dell’azienda in difficoltà presso la quale avevano lavorato, sia per la costituzione di una nuova società (al di fuori del settore agricolo). Sulla scia di questi incentivi il movimento accelerò lo sviluppo economico, grazie anche ad alcune importanti iniziative come la costituzione di FINEC (Finanziaria Nazionale dell’Economia Cooperativa) controllata dal Fincooper e della Società Finanziaria Meridionale (SoFiMer) in collaborazione con Isveimer e Banco di Napoli.
Mentre il movimento cooperativo si espandeva anche nel settore delle costruzioni, determinando una crescita quantitativa tanto imponente da costringere le società a riflettere sulle caratteristiche del proprio essere cooperative, la legge n. 59 del 31 dicembre 1992 introduceva importanti novità riguardo le modalità di finanziamento delle cooperative. Si istituì una nuova categoria di soci sovventori le cui risorse finanziarie possono essere utilizzate nell’ambito di fondi per lo sviluppo tecnologico e per la ristrutturazione e il potenziamento aziendale.
La sfida, oggi, consiste in un rilancio del movimento nella società che passi attraverso una profonda presa di coscienza della natura sociale della cooperazione e la valorizzazione del ruolo del socio. La Cooperazione si propone ai nostri giorni come attività produttiva gestita direttamente da chi lavora e rivendica, come ha fatto sin dalla sua nascita, il diritto per tutti i ceti sociali di accedere all’esperienza dell’impresa, di produrre reddito, occupazione e solidarietà.
Cooperazione e cambiamento
La nascita della cooperazione nella Regione Autonoma Trentino – Alto Adige (intesa come sistema di imprese cooperative) non fu solo la rivolta del piccolo contadino o del lavoratore sfruttato contro l’avidità dell’usuraio o la prepotenza del padrone. La cooperazione fu, ed è ancora, innanzitutto risposta ai bisogni delle persone in modo efficiente e secondo metodi imprenditoriali. Nemmeno alle origini del movimento la cooperazione fu una risposta ai soli bisogni materiali delle persone.
Nonostante la povertà dilagante degli albori della rivoluzione industriale e la grave crisi agricola che colpì masse ancor più vaste di persone, la cooperazione, fin dal suo sorgere, riuscì a dare risposte a bisogni più elevati di quelli materiali. Essa ebbe l’ambizione di essere sistema avanzato di cambiamento e di miglioramento (don Lorenzo Guetti paragona la modernità della cooperazione a quella del telegrafo e dell’energia elettrica ed Emanuele Lanzerotti parla di “strada nuova” per superare il conflitto tra consumatori e produttori).
Dunque la cooperazione fu vista dai padri fondatori come risposta globale ai bisogni dell’uomo.
La scala di Maslow
Accanto ai bisogni di sussistenza e di sicurezza, man mano che si va verso l’alto della nota scala di Maslow, troviamo infatti i bisogni di socialità, di stima e di senso. Le prime cooperative o le Casse Rurali non diedero risposte solo alle necessità materiali di sussistenza per quanto riguarda gli approvvigionamenti o di sicurezza nell’accesso al credito, ma anche ai bisogni superiori, non materiali. Il mettersi insieme con regole, diritti e doveri sviluppò enormemente la socialità delle persone. Le prime cooperative furono vere e proprie fucine per ritrovare fiducia e stima in sé stessi e negli altri (la comunità) e per ricostruire il senso dell’esistenza in un mondo che stava cambiando con estrema rapidità. La Cooperazione fu dunque il catalizzatore di risorse che rischiavano di frammentarsi e disperdersi irreparabilmente. Divenne, quindi, una delle risposte più efficaci per padroneggiare quel grande cambiamento che sconvolse il mondo e i rapporti di produzione e di scambio nella seconda metà del 1800. Essa fu un formidabile strumento di democrazia e di convivenza sociale per ritrovare i legami tra l’uomo e il suo territorio, tra la gente e il proprio ambiente; antidoto allo sradicamento che le ondate migratorie, causate dalla rivoluzione industriale, avevano introdotto anche nei quieti borghi rurali lacerando famiglie e comunità.
Il sapere cooperativo
In quest’ottica il sapere cooperativo, inteso come patrimonio storico della Cooperazione deve quindi essere valorizzato ed attualizzato. La Cooperazione non va vista come “terza via” tra capitalismo e statalismo (che non fu mai), ma come risposta avanzata di democrazia economica, di sviluppo sostenibile, legato al territorio, basato sui valori e sulla dignità dell’uomo, pure all’interno di un’economia di mercato. Un’economia che non si accontenta del guadagno immediato, della massimizzazione dei profitti dei pochi a scapito dei molti, ma guarda alle generazioni future, accantonando gli utili nei fondi di riserva indivisibili che si trasmettono di generazione in generazione. Proprio perché le cooperative sono imprese con un bilancio che deve chiudere, quanto meno, in pareggio, esse stanno a tutti gli effetti nel mercato, ma con competenze distintive e con logiche diverse.
La Cooperazione può essere ancora uno strumento efficace per padroneggiare il cambiamento.
Risposta alla frammentazione
In particolare il passaggio dalla società industriale alla società della comunicazione, dove l’organizzazione del sapere e lo sviluppo delle conoscenze, non solo professionali ma anche sociali, diventa determinante, ripropone l’esigenza di combattere la frammentazione sociale e l’esclusione economica. Nell’era delle “reti virtuali”, cruciale sarà il mantenimento delle “reti di persone” sul territorio che possono sfruttare le enormi potenzialità dell’Information & Communication Technology, possono al contrario riuscire ad emergere meglio nella vetrina di Internet senza affondare nel mare dell’indistinto. Questi sistemi, anche piccoli, sono più coesi e cooperativi al loro interno ed hanno valori e non solo numeri da comunicare. Il fatto poi che nel mondo stiano crescendo le attenzioni e le sensibilità verso uno sviluppo economico più umano e più giusto, e stiano aumentando i richiami all’etica anche negli affari (oggi esiste una norma per la certificazione etica delle aziende la SA 8000) dimostra che principi e metodologie cooperative, lungi dall’essere desuete, sono fatte proprie persino dalle grandi imprese di capitale.
Il nostro cammino nel mondo della cooperativa non finisce qui. La prossima volta scopriremo l’istituto giuridico della società cooperativa e le sue finalità.
(Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Della_Lucia, https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_cooperativa, http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/cooperative.htm, http://www.infocooperazione.it/storia_coop.aspx, http://www.confcooperative.belluno.it/Chi-siamo, http://www.dirittoprivatoinrete.it/SOCIETA%20COOPERATIVE.htm)
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