Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta della storia delle cooperative in Italia.
La spinta verso la cooperazione in età giolittiana
Le azioni di governo di Crispi e dei suoi immediati successori condussero l’Italia in una profondissima crisi economica che, dopo essere sfociata in scontri di piazza repressi sanguinosamente, preparò l’entrata in scena di Giovanni Giolitti. L’economia italiana, sorretta da una congiuntura internazionale favorevole, dalla ristrutturazione del sistema bancario, dall’incentivo alle grandi opere pubbliche, dalla nuova politica industriale impostata dal ceto dirigente liberale, mostrò segni di confortante dinamismo.
Nel 1901 nacquero la Federazione Italiana delle Società di Mutuo Soccorso e la Confederazione Generale del Lavoro, la “Triplice Alleanza” del lavoro, un comitato composto dai maggiori esponenti dei movimenti cooperativi, mutualistici e sindacali; e tra il 1904 e il 1910 furono dodici i provvedimenti legislativi volti a favorire più o meno direttamente la cooperazione. A conferma del ruolo di primissimo piano svolto dal movimento cooperativo italiano, la Lega Nazionale delle Cooperative venne ammessa a far parte in Italia dei Consigli Superiori del Lavoro, della Previdenza, dell’Emigrazione e della Commissione Centrale delle Cooperative e, all’estero, dell’Alleanza Cooperativa Internazionale. I risultati non si fecero attendere e si passò dalle 3800 società esistenti nel 1902 alle 5065 del 1910.
La cooperazione nel periodo bellico e il rilancio nel primo dopoguerra
Il primo conflitto mondiale ebbe chiaramente riflessi negativi anche nel settore cooperativo osteggiato dall’aumento dei costi e dalla stasi dei beni di consumo. Allo scoppio della Grande Guerra in Italia si contavano 7429 cooperative con un milione e 800 mila soci (di queste 2408 appartengono al settore di consumo, 3022 alla produzione e lavoro, 1143 al settore agricolo, 105 alle assicurazioni). Ma all’indomani della vittoria sul fronte alpino, tra il 1919 ed il 1920, nel nostro paese si assistette ad un vero boom cooperativo, stimolato in parte dalla forte disoccupazione e dall’aumento sfrenato dei prezzi. Nel 1921 le cooperative erano 25.000 e contavano oltre due milioni di soci.
Cooperazione e fascismo
Fra il 1919 e il 1924, in un periodo di grande confusione e di travaglio per una Nazione delusa ed allo stremo, lacerata al suo interno da violenze e ritorsioni, il Fascismo, allo scopo di arrestare l’avanzata delle forze socialiste e cattoliche, colpì duramente la cooperazione. Solo nel 1923 il primo governo Mussolini diede il via ad un processo di normalizzazione che avviò l’opera di revisione dei problemi cooperativi da parte del partito nazionale fascista. Dal 1925 al 1927 il Regime sciolse la Confederazione ed intraprese una radicale riorganizzazione dei settori cooperativi: fu creato l’Ente Nazionale Fascista per la cooperazione con sede a Roma e le cooperative furono inquadrate nell’ordinamento corporativo.
Nei giorni che seguirono l’8 settembre 1943 il Fascismo provò a fare leva anche sulla cooperazione attraverso il Manifesto di Verona del novembre dello stesso anno. Tuttavia le sorti dell’Italia stavano per cambiare, e le forze antifasciste, che si preparavano a vincere l’ultimo atto di una cruenta guerra civile, posero le basi per la ricostruzione di cooperative libere e democratiche, alle quali venivano affidati ruoli e responsabilità per un’Italia democratica.
Il secondo dopoguerra: il movimento cooperativo dalla guerra fredda al miracolo italiano
Alcuni segnali forti si avvertirono già con l’arrivo sul suolo italiano delle truppe alleate: in occasione del centenario dei Probi Pionieri di Rochdale, nel novembre del 1944, a Roma si vivono festeggiamenti di cui tutti i giornali danno vasta eco; il 15 maggio 1945 un gruppo di cooperatori cattolici ricostituisce la Confederazione Cooperativa Italiana; alcuni mesi più tardi la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue venne ricostituita. Si arrivò così alla legge Basevi, approvata il 14 settembre 1947, contenente “Provvedimenti per la cooperazione”, che sanciva sia i principi solidaristici e democratici cui dovevano ispirarsi le società cooperative, sia le clausole che avrebbero dovuto certificarne il rispetto del requisito della mutualità sancito dalla Costituzione.
La guerra fredda e la successiva divisione del mondo in due blocchi contrapposti smorzarono quasi istantaneamente le illusioni di un rinnovamento sociale. Al governo, De Gasperi traghettava l’Italia, ancora lacerata e sconvolta dai disordini di piazza, verso una vita normale e democratica fondata sul diritto al lavoro e al benessere.
Non furono anni facili nemmeno per il movimento cooperativo, spesso al centro di discriminazioni da parte dello stesso governo e vittima di un vero e proprio ostracismo. Il tentativo di individuare una via di riscossa passò attraverso la Carta rivendicativa della cooperazioni (16 dicembre 1953) che rivendicava:
- restituzione del maltolto
- cessazione delle gestioni commissariali
- statuto definitivo della cooperazione
- perequazione finanziaria e tributaria
- abolizione dell’imposta di fabbricazione dello zucchero
- applicazione integrale del testo unico sull’edilizia popolare.
Le crisi degli anni Cinquanta ed i ripensamenti sulle tematiche dell’economia conclusero in definitiva la fase storica del cooperativismo, favorendo l’affermazione dei grandi consorzi nazionali.
Nacque nel 1962 a Bologna il Consorzio Nazionale Dettaglianti (Conad) al fine di organizzare in comune i rifornimenti e gli acquisti di generi alimentari, bevande e beni di consumo e, sempre a Bologna, l’anno successivo si attivò l’UNIPOL.
La nostra storia continua.
(Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Della_Lucia, https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_cooperativa, http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina%202004/cooperative.htm, http://www.infocooperazione.it/storia_coop.aspx, http://www.confcooperative.belluno.it/Chi-siamo, http://www.dirittoprivatoinrete.it/SOCIETA%20COOPERATIVE.htm)
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