“Nella lunga storia del genere umano
hanno prevalso coloro che hanno imparato
a collaborare e improvvisare con più efficacia”.
(Charles Darwin)
“Lieve è l’oprar se in molti è condiviso”.
(Omero)
Il lavoro di gruppo e la fatica di lavorare insieme
Nell’articolo precedente abbiamo visto il percorso che caratterizza la formazione e la maturazione di un gruppo di lavoro e le sue qualità principali (vai all’articolo).
In questa seconda parte cercheremo invece di descrivere quali sono gli elementi che rendono difficoltoso lo stare all’interno di un’èquipe, quindi parleremo DELLA FATICA DI LAVORARE INSIEME.
A livello puramente teorico il lavoro di gruppo ha tutta una serie di caratteristiche che lo configurano come la soluzione ottimale per il raggiungimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza che ogni organizzazione in genere si pone. Nella realtà purtroppo non corrisponde quasi mai a verità l’affermazione che “basta mettersi insieme per lavorare bene”.
Stare all’interno di un gruppo di lavoro è molto faticoso, anche se è vero che poi più grande è la fatica e maggiore è il risultato finale e la soddisfazione che esso comporta per tutti. Il destino di un qualunque gruppo non può essere descritto in maniera lineare né può essere completamente prevedibile alla sua nascita poiché esso è sottoposto a molte forze di entità diversa e spesso contrastanti.
Teniamo conto di una cosa fondamentale: nel gruppo ogni membro mette in gioco la propria identità, intesa come l’esperienza che ognuno ha di se stesso; poiché tale esperienza passa attraverso la relazione con gli altri membri va da sé che il gruppo può alimentare o destabilizzare l’identità di ciascuno. In questo modo entrano in gioco tutta una serie di dinamiche inscindibilmente legate alle funzioni psicologiche immanenti al concetto di “gruppo”.
Partiamo dall’inizio: qual è lo scopo principale per cui l’essere umano tende a raggrupparsi?
Possiamo affermare che ogni organizzazione sociale, dalla famiglia, al gruppo di amici, all’impresa, si configura come un sistema con un duplice compito:
- il primo è quello di portare a termine la propria missione, di realizzare gli obiettivi per cui è stata creata;
- il secondo è quello di andare incontro ad alcune delle più importanti esigenze dell’uomo, ossia erigere efficaci difese contro le principali angosce dell’esistenza.
In altre parole il lavoro umano e le istituzioni non sono guidati solo dalla necessità di produrre risultati in termini di merci, beni, servizi, informazioni, conoscenze, ricchezza o benessere, ma anche dalla possibilità di appagare bisogni personali e collettivi. In primo piano si manifestano quindi le esigenze più coscienti e razionali che attengono al denaro, al potere e all’esercizio di un ruolo sociale, ma dietro a tutto questo si cela la presenza di una serie di importanti bisogni di natura affettiva, per lo più inconsci, riguardanti l’appartenenza, la sicurezza e l’identità.
Possiamo allora dire che ogni gruppo:
- si gioca fra bisogni contrapposti di appartenenza e di affermazione di sé di ogni membro;
- ha una propria funzione di gestione dell’ansia;
- ruota da una parte intorno allo sforzo razionale di lavorare insieme per ottenere risultati e dall’altra intorno alle modalità di gestione dei legami emotivi ed affettivi che si costruiscono fra le persone componenti.
L’ansia permea il lavoro in tutti i suoi aspetti: lavorare non è solo stancante dal punto di vista fisico, ma genera anche una certa quantità di preoccupazione e stress a tutti i livelli gerarchici.
Lavorare mette ansia,
dirigere ne mette di più,
sostenere i rischi d’impresa genera stress ancora più rilevanti.
Così come accade agli individui, anche le organizzazioni (che sono formate da individui) sviluppano difese contro emozioni che sono troppo minacciose o dolorose per essere riconosciute.
Le persone, i gruppi e le stesse organizzazioni si difendono dall’ansia con vari sistemi. Il problema delle difese è che nella vita dell’organizzazione, così come in quella dell’individuo, non se ne può fare a meno: un sistema indifeso viene facilmente distrutto o colonizzato da altri sistemi oppure rischia di collassate sotto il peso di tensioni fuori controllo.
Alcune di queste difese si rivelano in effetti relativamente adeguate ne non addirittura necessarie all’organizzazione per perseguire il suo compito.
Più spesso però le difese organizzative creano problemi perché possono risultare estremamente costose (non esitano a compromettere il compito dell’organizzazione pur di tenere lontana l’ansia e i pericoli); inoltre capita spesso che le loro promesse siano ingannevoli poiché non riescono a garantire quelle condizioni di stabilità, padronanza e serenità che sembravano poter assicurare.
Capita allora che le ansie tornino indietro rifornendo il repertorio aziendale di condotte irrazionali e controproducenti, quelle che vediamo in tutte quelle situazioni di mal gestione in cui si avvicendano dispersione delle responsabilità, occultamento degli errori, ricerca dei capri espiatori, incapacità di delegare, conflittualità cronica e differimento delle decisioni cruciali.
Quali sono queste difese e come si declinano nel comportamento lavorativo? Facciamo alcuni esempi:
- distacco e negazione dei sentimenti con lo sviluppo di uno stile professionale da “robot”;
- ritualizzazione dei compiti e ossessività delle procedure e dei controlli (soffocante burocratizzazione delle funzioni e incapacità di prendere decisioni);
- elusione e diffusione delle responsabilità (quando succede qualcosa è sempre colpa di tutti e di nessuno);
- delega verso l’alto con progressiva infantilizzazione del gruppo di lavoro;
- idealizzazione e svalutazione;
- scissione, isolamento e spersonalizzazione nelle relazioni con gli altri individui coinvolti nell’organizzazione (siano essi colleghi o superiori, pazienti o clienti);
- tenace resistenza ai cambiamenti.
Per effetto di questi processi il personale viene distolto dallo svolgimento del proprio compito oppure il compito stesso ne viene pervertito tanto che si creano climi e comportamenti altamente distruttivi, la cui risultante è un’organizzazione paralizzata e improduttiva, nella quale le persone vivono e lavorano in condizioni di crescente malessere.
I problemi così vengono solo accantonati e tendono a riproporsi continuamente in forme diverse ma sostanzialmente immutati.
Ecco allora come si sviluppa la vera fatica di lavorare insieme: troppa ansia e angoscia esistenziale a livello dei membri e quindi dell’organizzazione generano difese troppo rigide e quindi poco funzionali. L’organizzazione si ritrova così imbacchettata dentro una rigidità e una resistenza che fa perdere senso all’organizzazione stessa, la rende incapace di adattarsi flessibilmente ai cambiamenti necessari per la sua stessa sopravvivenza, genera dinamiche distruttive fra i suoi membri con ricadute negative come l’aumento della sofferenza, dell’insoddisfazione e dello stress lavorativo.
Quello che vediamo a livello fenomenologico in un’organizzazione che sta male è un esponenziale aumento di manifestazioni come il burnout, tensioni relazionali, incidenti, malattie psicosomatiche, assenteismo, dimissioni dal lavoro. Ecco allora che anche le buone idee avanzate dal singolo possono naufragare e che fra i dipendenti inizia a farsi avanti l’idea che “nulla cambierà mai” e che “si andrà sempre peggio”. Lo scoraggiamento generale prende allora il sopravvento e i singoli membri iniziano a perdere di vista sia il senso di appartenenza all’azienda sia la lucidità emozionale per gestire correttamente i rapporti fra pari e con i superiori. Tutto diventa molto più difficile, sia a livello manageriale (è la situazione in cui il dirigente sente che tutto gli sfugge di mano) sia a livello produttivo (i dipendenti si sentono solo degli esecutori poco ascoltati e anche mal pagati).
Ecco allora che un po’ alla volta si innescano le classiche dinamiche di gruppo che rendono faticoso, se non impossibile, lavorare insieme.
A mio avviso le principali sono queste:
- generazione di conflitti interni anche su questioni futili per distogliere l’attenzione dal problema vero;
- creazione di alleanze (sottogruppi contrapposti fra loro);
- aggregazione intorno ad un rivale che può configurarsi come un nemico esterno oppure un capro espiatorio interno;
- ricerca di un “capo” forte e carismatico che può anche non coincidere con il leader riconosciuto dall’organizzazione ufficiale.
La prossima volta prenderemo in esame il primo di questi temi (il conflitto) e vedremo come questo possa essere gestito all’interno di un gruppo di lavoro in modo da diventare un positivo motore di cambiamento all’interno dell’organizzazione.
Comments are closed.