Cos’è che rende produttivo e sereno un gruppo di lavoro?
Perché alcuni gruppi anche molto eterogenei di persone risultano molto efficienti ed altri, apparentemente molto strutturati si perdono in un bicchiere d’acqua e si dissolvono alla prima difficoltà?
Partiamo dall’inizio: cos’è un gruppo di lavoro?
Si tratta di un insieme di persone che condividono uno scopo avendo un obiettivo comune. A tal fine collaborano moltiplicando le loro risorse e condividendo i vantaggi dei successi.
Inizialmente un gruppo si forma modellandosi attorno all’interazione fra individui. L’interazione comporta una certa dose di coesione fra le parti e quindi l’emergere di ciò che accomuna le persone partecipanti. I membri avvertono il gruppo come proprio fissando dei legami con gli altri.
I termini “legame” e “coesione” non devono far pensare che il clima all’interno del gruppo sia sempre un clima positivo di solidarietà. Infatti il contrario di “coesione“ è “indifferenza” e non “conflitto”.
Un gruppo diventa un gruppo di lavoro quando all’interazione fra i membri si aggiunge l’interdipendenza, ossia la consapevolezza dei membri di dipendere gli uni dagli altri, quando c’è la percezione della necessità reciproca e interviene il concetto di “scambio”. L’accettazione della dipendenza all’interno del gruppo implica l’elaborazione dei confini del gruppo stesso e dei limiti da imporre agli individui. Quando il gruppo raggiunge questo livello di maturazione in genere si riescono a cogliere i primi frutti del lavoro di tutti. Se alla guida di un gruppo di lavoro c’è un buon capo, capace di una leadership sufficientemente buona, le persone saranno in grado di percepirsi come appartenenti ad una comune organizzazione e di far propri gli obiettivi della stessa, spesso mettendo in secondo piano i propri obiettivi individuali.
In un gruppo di lavoro che funziona bene ci sono tutta una serie di vantaggi rispetto al lavoro individuale. Per quanto riguarda gli aspetti positivi il gruppo può vantare un più alto insieme di conoscenze, offrire punti di vista diversi, creare una maggiore comprensione di problemi, aumentare la probabilità che una decisione venga accettata, costruire un ambito di formazione per i colleghi privi di esperienza. Ovviamente la contropartita richiesta attiene a svantaggi quali la pressione sociale che ogni membro può avvertire su di sé, reprimendo la propria creatività, la supremazia di una parte del gruppo a discapito di un’altra, lo spostamento dell’obiettivo, lo schieramento della maggioranza su una decisione di comodo piuttosto che su una sensata.
La responsabilità delle sorti di un gruppo di lavoro ricade molto spesso sul leader che conduce il gruppo. Proprio per questo è fondamentale che questa persona abbia tutta una serie di caratteristiche tali da far emergere il più possibile le risorse individuali dei membri del gruppo a favore del gruppo stesso.
Le qualità necessarie a rivestire questo ruolo si configurano nella sfera dell’empatia, della capacità di ascolto, della consapevolezza, della capacità di concettualizzazione e di previsione, della persuasione, della capacità di far crescere le persone e l’ambiente lavorativo.
Il management partecipativo dovrebbe portare quindi ad un incremento della motivazione poiché aiuta i collaboratori a soddisfare tre bisogni primari:
- Autonomia
- Attribuzione di significato al lavoro
- Contatto interpersonale
La soddisfazione di questi tre bisogni fa sentire l’individuo accettato, valorizzato, sicuro e soddisfatto; tali aspetti a loro volta incrementano innovazione e migliorano le prestazioni.
Per management partecipativo si intende il coinvolgimento dei collaboratori nei vari aspetti del processo decisionale: i collaboratori assumono un ruolo diretto nello stabilire obiettivi, nel prendere decisioni, nel risolvere problemi e nell’apportare cambiamenti all’interno dell’organizzazione. Insomma, senza dubbio, il management partecipativo comporta molto di più che chiedere una mera opinione su qualche questione superficiale.
Il management partecipativo in realtà non funziona in tutte le situazioni lavorative poiché la sua efficacia dipende anche dall’organizzazione del lavoro e dal grado di fiducia fra il management e i collaboratori stessi. Ovviamente non tutta la responsabilità ricade sul dirigente: la gestione partecipativa risulta efficace solo quando i collaboratori risultano competenti, preparati e interessati alla partecipazione stessa.
I leader gestiscono mentre i manager guidano.
Le due attività non sono sinonimo l’una dell’altra. Mentre il manager ha funzioni di pianificazione, organizzazione e controllo, il leader ha a che fare con tutti quegli aspetti interpersonali di lavoro di un manager, quindi diventano gli ispiratori degli altri, procurando sostegno emotivo e spronando i collaboratori verso un traguardo comune.
Le due parti possono convivere nella medesima persona: in questo caso siamo di fronte ad un dirigente con tutte le carte in regola per guidare un gruppo di lavoro verso l’eccellenza, non accontentandosi della mera performance ma puntando anche alla soddisfazione personale dell’intero gruppo lavorativo.
Se il leader funziona adeguatamente il gruppo viene trainato nella sua fase più matura che è quella in cui i membri si sentono integrati fra di loro. In questa fase si raggiunge l’equilibrio ottimale fra la soddisfazione personale e quella del gruppo; vantaggi e costi sono distribuiti fra tutti i soggetti coinvolti e i concetti di appartenenza e collaborazione raggiungono i loro massimi livelli.
La collaborazione infatti è possibile solo nel momento in cui si sia instaurata una relazione di fiducia fondata sulla negoziazione continua di obiettivi e metodi, ruoli, leadership, quando insomma ci sia una condivisione matura sia delle decisioni che degli esiti del lavoro.
Nella prossima puntata… parleremo in modo più esteso degli elementi fondamentali per una comunicazione efficiente, efficace ed assertiva.
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